Baldini: "Luis Enrique? Volevo qualcuno estraneo al calcio italiano. C'è bisogno di cambiare"
La Repubblica - Audisio
Sono passati sei anni da quando Franco Baldini ha lasciato l'Italia e dieci da quando ha vinto lo Scudetto con la Roma, e adesso sta per ritornare come direttore generale del club giallorosso sotto la nuova dirigenza americana. Il giornalista Audisio della Repubblica gli ha fatto un'intervista di cui riportiamo uno stralcio.
Rientra dall'esilio?
"Sono andato via perché dopo quello che ho detto su Moggi non aveva più senso restare in Italia, né c'erano più le condizioni di lavoro. Troppi conflitti d'interesse, troppo impicci, tra sistemi di credito, persone, istituzioni. Si ama e si smette di amare. Io quel calcio non l'amavo più, non ci riuscivo. Per un po' sono andato in Sudafrica a vendere caffè".
In sei anni poco è cambiato, lo sport è retto sempre dagli stessi uomini.
"Ma io devo pensare che il clima è diverso. Devo fare come gli inglesi: non si chiedono come sia il tempo, escono e basta. Danno per certe la pioggia, le nuvole, un'ombrosità permanente, però non rinunciano a fare le cose. Ho vissuto e lavorato in Spagna e in Inghilterra, dove il calcio è una cosa seria, ma diverte. Dove allo stadio si festeggia, non ci si sfoga, né ci si abbrutisce. E mi chiedo, chissà forse è possibile anche in Italia. Questa è l'ultima possibilità che ho di non restare indifferente".
E quindi?
"Niente polizia negli stadi, niente tessera del tifoso, nessuna tribuna lontana. Non voglio vedere agenti in assetto di guerra, ma steward, perché è chiaro che una certa coreografia, caschi e manganelli, suggerisce che il conflitto è una certezza più che un'eventualità. La forma conta come il contenuto. Voglio uno stadio con parcheggi, servizi, buoni mezzi di trasporto pubblici, non carovane da Far West. Voglio che le famiglie non si debbano preparare settimane prima alla partita, ma abbiano la possibilità di andare allo stadio sane e salve in tempi rapidi. E godere e gioire del gioco, non spaventarsi per il pericolo".
Addio Olimpico
"Sì. Ci vorrà tempo, inizieremo un percorso, sono già stati fatti progetti. Ma basta con il calcio discusso inutilmente per tutta la settimana e vissuto da bestie nei 90 minuti che contano. Roma città rappresenta un grande nome nel mondo, così come la sua squadra, ma bisogna sprovincializzarsi".
I giovani?
"A Trigoria la Primavera si allenerà accanto e allo stesso orario della prima squadra, per far capire che il salto a titolare non impossibile. Abbiamo una squadra giovane, giocarci per i ragazzi non deve significare sfatare un tabù, ma vedere premiato un impegno. Il calcio va svecchiato anche in questo, i nostri acquisti sono sotto i 22 anni, fare entrare aria nuova non è male, invece di affidarsi all'usato. La Roma non intende ricorrere per chiedere riduzioni di squalifiche, anzi sarà la prima a mettere fuori squadra i giocatori che si macchieranno di brutti falli e di comportamenti scorretti, anche non visti. Basta cercare scuse".
Lei lavora da tempo con Capello, allenatore esperto e concreto. Ma ha scelto Enrique che è una scommessa.
"Cercavo qualcuno estraneo al calcio italiano. Incontaminato. Mi è piaciuta la sua sfrontatezza, di gioco e di carattere. E' molto motivato, cerca il gol. Ci siamo ritrovati anche a parlare di libri: "Il cammino di Santiago" di Paulo Coelho. Non è tra i miei scrittori preferiti, ma io senza leggere, soprattutto nei viaggi, non so stare".
La Roma in Lega sui diritti tv si è allineata con Juve, Milan, Inter.
"Io sono per la vendita collettiva dei diritti tv. Dove avviene, come in Germania, al vertice c'è ricambio. Invece in Spagna la lotta si riduce a due: se non è Real è Barcellona. Il dramma del nostro calcio è che pur guadagnando e non essendo uno sport minore, si è impoverito. Non ha saputo gestire la sua ricchezza, e ora con la crisi è sempre più in crisi. E' in ritardo anche sulle soluzioni".
Per 18 anni la Roma è appartenuta a una famiglia, ora va un gruppo che parla di brand.
"E' un gruppo che ha spessore, ha studiato ad Harvard, vuole investire, non arraffare. Roma e la Roma sono un marchio importante, c'è bisogno di trovare un respiro internazionale, una nuova dimensione per il marketing. In questo settore all'estero fanno ricavi, perché da noi no?".
Non siete in troppi alla Roma: tra nuovi e vecchi? Lei, Fenucci, Sabatini e poi Conti e Mazzoleni, visto che Pradé se n'è appena andato?
"Andranno ripensate mansioni e qualifiche. Come anche nel settore medico . Ripeto: non cerco stravaganze, ma normalità. La Roma deve prendere possesso di sé. Gli americani hanno un progetto sensato, non a breve termine, hanno affetto per le loro radici, anche se non parlano italiano, DiBenedetto prenderà casa a Roma. Non sarà tutto facile, né tutto presto".
Totti a 35 anni è un totem?
"Totti ha davanti ancora 4-5 anni di carriera. Se saprà guardare solo al calcio e non farsi carico di altro. Ma deve liberarsi della sua pigrizia e di chi usa il suo nome, anche a sua insaputa. Deve smettere di lasciare fare, più leggero sarà, più lontano andrà con il pallone".
Lei ha un doppio incarico: con la nazionale inglese e con la Roma.
"Lo so che sembra assurdo, ma io con la Roma non ho ancora firmato niente. E appena partirà il contratto, il mio ruolo di direttore sportivo nella Fa diverrà solo una consulenza gratuita fino alla fine di Euro 2012. Tutto è chiaro e amichevole".