Keita: "Potevo venire alla Roma già con Spalletti, fui vicino anche al Milan. Totti è incredibile"
Seydou Keita ha parlato alla trasmissione I Signori del Calcio, in onda su Sky Sport. Queste le sue dichiarazioni.
Su Roma città.
"Sinceramente per ora non ho visto nulla della città. Appena arrivato ho abitato in hotel per quasi un mese e mezzo, poi ho trovato una casa. Ho tre bambini che vanno a scuola, oltre ovviamente agli allenamenti, quindi non ho avuto molto tempo libero per visitare e ammirare le bellezze di Roma. Mi rifarò, ogni cosa a suo tempo".
Sulla Roma.
"Qui a Roma ho trovato un ottimo gruppo, ho notato diversi dettagli che lo rendono diverso, non direi migliore, ma differente rispetto a quelli delle altre squadre in cui ho giocato. Ho trovato ragazzi molto rilassati. Abbiamo un gruppo su WhatsApp che usiamo per comunicare fra di noi, per esempio se qualcuno non ricorda a che ora inizia l’allenamento, scrive un messaggio e riceve subito una risposta. Sono piccoli dettagli ma molto importanti. C’è davvero una bella atmosfera, ma poi in fin dei conti il calcio è sempre uguale, bisogna lottare per vincere e raggiungere i risultati, che determinano la serenità del gruppo. Vincere per me è fondamentale, i risultati sono la base su cui costruire un gruppo unito".
Garcia.
"Conosco Garcia da poco tempo, da quando sono arrivato a Roma. È un allenatore molto intelligente e molto diretto con i giocatori, quando c’è un problema non esita a parlarne subito con noi. E’ molto interessato anche ai nostri sentimenti e alle nostre opinioni, non si pone come un capo che impartisce ordini, e questo è molto importante. Credo sia positivo interagire con i giocatori che hanno più esperienza, parlare con loro per conoscerne le sensazioni. Sia io che tutti i miei compagni vogliamo giocare bene a calcio e questo è anche l’obiettivo di Garcia. Ho giocato in tante squadre, è difficile paragonarlo con gli altri allenatori che ho avuto. Sicuramente ha le qualità giuste per essere allo stesso livello di Guardiola, Juande Ramos, che mi ha allenato al Siviglia, o Pizzi, con cui ho lavorato al Valencia. Garcia è molto bravo e, soprattutto, e un allenatore davvero intelligente".
Guardiola e gli altri.
"Mentirei se dicessi che Guardiola sia stato l’unico a influenzare la mia carriera. In Francia, per esempio, Gillot o Christian Gourcuff sono stati importanti, tutti gli allenatori che ho avuto mi hanno aiutato molto. Certo, a Barcellona con Guardiola ho vinto tutto e le immagini di quei successi sono rimaste impresse nella memoria della gente, ma sono arrivato a Barcellona dopo un percorso lungo e importante. A Barcellona, con tutti quei grandi giocatori e un allenatore come Guardiola, era addirittura facile lavorare e dare il massimo, ma per arrivare a quel punto avevo faticato tanto. Tutti gli allenatori con i quali ho lavorato mi hanno aiutato tanto e personalmente ho avuto buoni rapporti con tutti, perché sono un giocatore che pensa alla squadra, non un individualista. Mi trovo bene all’interno di un gruppo e i miei allenatori mi hanno sempre apprezzato per questo. La vita è così, no?".
L’infanzia in Mali
"Quando ero bambino, in Mali, mio fratello Secu, attenzione non Seydou come me ma Secu, mi ha aiutato tanto. Grazie a lui potevo avere le scarpe e la maglietta per giocare con i miei amici, e poi era stato lui a comprarmi il biglietto aereo per andare a Marsiglia. Avevo passato l’infanzia nella scuola del mio zio acquisito Salif Keita. Anche lui è stato molto importante, aveva una certa esperienza avendo giocato in Francia e Spagna e molti lo considerano uno dei migliori calciatori africani della storia".
L’esperienza al Valencia.
"Prima di venire a Roma giocavo in una squadra importante in Spagna, il Valencia, che non è stato facile lasciare: i miei compagni, i tifosi e la società volevano che restassi, ma il mio obiettivo era continuare ad alti livelli, per esempio giocando ancora la Champions. Garcia mi ha cercato telefonandomi varie volte, a marzo, se non mi sbaglio, ma la decisione per me non è stata facile perché giocavo in una grande squadra che mi piaceva molto. Ho impiegato un po’ di tempo a decidere, alla fine ho accettato di venire a Roma dopo aver parlato con Garcia e avevo capito che mi voleva fortemente. Io voglio confrontarmi con i migliori e la Champions League mi dà questa possibilità, così posso sempre conoscere il mio livello. Per me è importante".
La vittoria più importante?
"E’ difficile scegliere una vittoria su tutte, quando vinci qualcosa è sempre importante. Sicuramente la Champions è sempre difficile da vincere, la prima con il Barcellona rappresenta un momento molto importante, perché la Champions è molto più difficile da conquistare rispetto al campionato. Ho vissuto talmente tanti bei momenti che è impossibile indicarne solo uno. C’è un aneddoto su quella prima Champions vinta con il Barcellona, fra l’altro proprio a Roma. Ero stato titolare sia nei quarti che in semifinale, così Guardiola mi ha chiesto se me la sentissi di giocare anche la finale, ma da terzino sinistro, perché Abidal era squalificato. A centrocampo Iniesta e Henry tornavano dagli infortuni, quindi eravamo in tre per tre posti. E il terzo era proprio il ruolo di terzino, ma la finale della Champions non è la partita adatta a fare esperimenti. Io ho risposto a Guardiola che ovviamente volevo giocare la finale, però non volevo passare alla storia per il mio orgoglio, per aver giocato quella partita anche se in un ruolo non mio. Gli ho detto di schierare qualcuno che potesse giocare meglio di me da terzino e che io ero disponibile a entrare per dare una mano. Ma non volevo essere egoista e giocare a ogni costo, bastava anche un mio piccolo errore sul fuorigioco per perdere la finale. Alla fine ha giocato Silvinho e io sono entrato nel secondo tempo, abbiamo vinto ed eravamo tutti felici. Da quel momento Guardiola mi ha rispettato ancora di più, perché ha capito che non sono un giocatore egoista. Una cosa molto importante".
In tribuna in occasione della partita con il Bayern...
"Per me è stato complicato guardare Roma-Bayern Monaco dalla tribuna, era difficile vedere i miei compagni perdere così. Però nel calcio certe cose possono succedere, quando una partita per te inizia male e al tuo avversario tutto gira bene è difficile rialzare la testa. La scorsa stagione, per esempio, il Real Madrid aveva segnato quattro gol a Monaco in semifinale. Quello che è successo a noi non va dimenticato, ma nel calcio bisogna sempre alzare la testa e andare avanti, come ha fatto il Bayern dopo quella sconfitta di cui adesso non parla più nessuno. Ed è passato solo un anno, in più era una semifinale in casa del Bayern. Questo è il calcio. Come nel caso del Barcellona, che nel 2012 subisce 7 gol fra andata e ritorno contro il Bayern, certe cose non accadono solo alla Roma".
Messi?
"Messi è il migliore con cui ho giocato, è naturale che chi vince quattro volte il Pallone d’Oro sia il più forte. In più fa cose che solo lui è capace di fare, giocate uniche, è un dono divino. E’ in grado di cose che io non saprei mai fare. Per me è lui il migliore. E’ un ragazzo molto tranquillo, a volte da fuori può sembrare un po’ strano, ma è una persona molto tranquilla e socievole. Scherza con i compagni, vive in modo normale".
La vita fuori dal campo?
"Sono un giocatore ma oltre al calcio, alle partite e agli allenamenti, la mia vita è normale. Il calcio è solo una parte della mia vita e per me sono più importanti le persone che i calciatori. I miei migliori amici sono Frédéric Kanouté e Adamo Koulibaly, persone con le quali ho un ottimo rapporto. Devo dire, però, che in tutte le squadre in cui ho giocato sono sempre andato d’accordo con tutti, sono un tipo tranquillo che non crea problemi nello spogliatoio. Non ho mai fatto nulla di male e se chiedete ai miei compagni a Barcellona, a Valencia o in Francia sono sicuro che nessuno avrà da ridire su di me. Guardo sempre prima le persone e poi i calciatori, i giocatori si esprimono solo in campo, quando finisce la partita inizia la vita vera".
Totti?
"Per essere come Totti a 38 anni non basta avere la testa, bisogna essere professionisti seri. Tutti conoscono le sue qualità, non devo commentarle io, ma quello che mi colpisce di Francesco è il suo stato di forma. Che richiede tanta serietà. Io ho 34 anni e non sono sicuro di voler giocare fino a 38, soprattutto a questo livello. Per me lui è davvero incredibile".
Il miglior capitano che hai avuto?
"Il miglior capitano… Credo che non basti indossare una fascia per essere capitano, ho avuto compagni di squadra fondamentali per il gruppo, sia in campo che nello spogliatoio, nonostante non indossassero la fascia. A Barcellona, per esempio, c’era Puyol, ma non era l’unico, eravamo un gruppo di grandi professionisti. Certo, Puyol indossava la fascia, ma era il gruppo a fare davvero la differenza".
Il Barcellona?
"A Barcellona, fra tutti quei campioni, molti pensavano che io non fossi un titolare indiscutibile. Guardando le statistiche però si vede che ho giocato oltre l’80% delle partite, di cui più del 60% da titolare in una squadra come il Barcellona. In pratica una ogni due, è chiaro che ero uno dei titolari. Come ho detto prima, avevo giocato una semifinale di Champions da titolare e, se avessi voluto, sarei stato fra i titolari anche in finale. Qualcuno pensa che Guardiola preferisse giocatori come Xavi e Iniesta, ma a me non importa, ho disputato tante partite e credo di averlo sempre fatto bene. Io pensavo semplicemente ai fatti miei, non sono mai stato troppo mediatico, ma ogni volta che ho lasciato una squadra tutti i compagni e gli allenatori sono sempre stati tristi, perché sapevano di perdere un giocatore importante, che lotta per la squadra. Spesso la stampa preferisce esaltare gli attaccanti. Faccio un esempio: prima di arrivare a Roma giocavo titolare in una squadra importante come il Valencia, dove avevamo appena disputato la semifinale di Europa League. Appena arrivato qui mi hanno chiesto se fossi venuto per guardare gli altri o per giocare. E’ incredibile! Questo perché nessuno aveva guardato la Liga, o chi lo aveva fatto si era concentrato solo sul goleador, dimenticandosi degli altri. Pensa, mi chiedevano se fossi qui per guardare gli altri! I tifosi che leggono i giornali hanno pensato che io fossi un giocatore finito, solo perché la stampa diceva così. La cosa più importante, però, è sempre il campo".
Il tifo in Spagna?
"In Spagna l’unica città calda a livello di tifo è Siviglia, ma comunque meno rispetto a Roma. Barcellona è molto tranquilla, così come Valencia. Qui le persone sono davvero fanatiche, ma mi piace perché ci aiuta molto e credo che non succeda solo alla Roma, anche negli altri club italiani è più o meno così. I tifosi romanisti comunque sono un po’ diversi rispetto a quelli del Barcellona".
La vita dopo la carriera calcistica?
"Non so se a fine carriera vivrò in Europa o altrove. Magari a Dubai, un posto che mi piace molto per come si vive e per l’educazione dei miei figli, che sono piccoli e quindi con loro è difficile andare a vivere in Africa, dove non c’è lo stesso livello di istruzione che invece abbiamo qui. Mia mamma non poteva permettersi molto, voglio offrire ai miei figli quello che io non ho potuto avere a livello di istruzione. Sono loro la cosa più importante per me".
Sulla religione.
"Ognuno è libero di praticare la propria religione, io ho la mia fede, ma non penso che sia migliore di altre, rispetto le religioni diverse dalla mia. Ciascuno è libero di fare quello che vuole, io cerco di praticare la mia al meglio, rispettando, però, sempre gli altri, che è la cosa più importante. Sono credente, prego cinque volte al giorno, mentre il calcio è il mio lavoro. Vivo la religione in modo tranquillo".
Ad un passo dal Milan?
"Nel 2012 ero molto vicino a firmare con il Milan e prima ancora per due volte sono stato a un passo proprio dalla Roma, la trattativa era abbastanza avanzata ma poi non se ne fece nulla. C’era quell’allenatore che ha allenato anche in Russia, Spalletti, che allenava la Roma. Per due volte ho quasi firmato, così come con il Milan, sono stato a un passo anche da loro. Molto vicino".
La chiamata di Ibrahimovic?
"Al Milan mi aveva chiamato Zlatan, un mio buon amico, abbiamo giocato insieme a Barcellona. Voleva che andassi a giocare con lui al Milan, che poi, però, ha avuto qualche problema, infatti Zlatan ha lasciato la squadra per andare a Parigi. Potrei provare a chiamare Ibra adesso, ma lui è fondamentale per la sua squadra, una società che ha la stessa dimensione della Roma, gioca la Champions e lotta per vincere il campionato. Si trova bene a Parigi, non credo che voglia cambiare per venire qui. Magari la prossima stagione, ma non credo che lascerebbe Parigi per una squadre dello stesso livello. Io ho lasciato il Valencia per vivere una dimensione più importante, giocando la Champions. Insomma per salire di livello. Lui invece gioca già in Champions e lotta per il campionato. Però, lo chiamerò, chiederò a lui se vuole venire qui e a Sabatini se ha i soldi per prenderlo…".
Situazione contratto.
"Ho firmato per un anno e per me è sufficiente. Alla mia età non voglio firmare per molti anni e poi magari costringere il club a tenermi se le cose non vanno bene. Ho vinto tanto e ho guadagnato molto in carriera, ora voglio solo divertirmi. Quando vado all’Olimpico e vedo i tifosi provo allegria, è importante sapere che apprezzano il mio lavoro, per me conta molto sentirmi amato. Alla mia età il contratto non è un tema così importante, certo per un ragazzo di 20 anni è diverso che per un giocatore di 34. Sto molto bene qui e chiaramente mi piacerebbe restare. Sono credente e penso che nessuno possa conoscere il futuro, ma sarei molto orgoglioso di poter chiudere la carriera alla Roma. Oggi le cose vanno bene, ma fra sei mesi possono cambiare, se inizio a giocare male la società può scegliere di non rinnovare il contratto. Per me in questo momento più che il contratto conta il fatto di giocare ancora ad alti livelli, continuando ad essere apprezzato dai tifosi".