Monchi: "Il mio obiettivo è portare la Roma al top a livello mondiale"
Il ds Monchi ha rilasciato una lunga intervista a Sport Illustrated. Ecco le sue parole:
Come descrive il lavoro di ds?
“Non è facile in poche parole, io mi occupo di tutto quello che riguarda la pianificazione sportiva della Roma, dall’allenatore alla filosofia del club, della vendita e dell’acquisto dei giocatori. È una figura importante”.
Perché il ruolo del ds è maggiormente sviluppato nel resto d’Europa che in Inghilterra?
“Io ne identifico 3: presidenziale, quello inglese che ruota attorno alla figura dell’allenatore e quello misto, dove presidente, allenatore e ds coesistono. Questo è quello più bilanciato: il presidente decide il tipo di investimenti, l’allenatore valuta i profili interessanti e il ds cerca i giocatori. In Inghilterra prevale il modello del coach ma si stanno adattando a quello europeo, in Inghilterra oramai ci sono tanti allenatori stranieri”.
Perché dopo tanti successi ha deciso di lasciare il Siviglia?
“Ho pensato che, dopo 29 anni, fosse il momento giusto di cambiare. Volevo mettermi alla prova con qualcosa di nuovo, per capire se fossi capace di lavorare anche fuori casa. Molti pensano che abbia lasciato per soldi o per discussioni con il presidente, ma non è così. Avevo bisogno di nuove motivazioni”.
Perché ha scelto la Roma rispetto ai tanti club che l’hanno cercata?
“Perché pensavo fosse il club che mi offrisse la possibilità di essere me stesso. È stato importante mantenere indipendenza e responsabilità, la possibilità di continuare a fare il mio lavoro. La Roma mi ha dato l’occasione di non cambiare la mia identità professionale e, dopo 16 mesi, posso confermarlo: è stata la scelta giusta”.
Nella Roma chi prende le decisioni?
“C’è una gerarchia simile a quella degli altri club: presidente, dg , ad etc. Il mio capo è Pallotta ma io posso lavorare in autonomia, tenendolo ovviamente aggiornato. Abbiamo una relazione ottima, così come con Baldissoni e Gandini. Assumere o esonerare allenatori è una mia competenza, perché dal tecnico dipende il progetto sportivo”.
Come sceglie i giocatori?
“Secondo il talento. Non è una risposta originale, ma questo è un lavoro difficile. La verità è che bisogna avere una grande struttura di scouting, un’ottima strategia e una buona fonte di informazioni. Importanti sono anche i dati”.
Quanti scout ha alla Roma e come usa i dati?
“Adesso siamo una squadra di 15 scouts, ognuno lavora su un certo tipo di dati e li inserisce poi nella banca dati dalla quale decidiamo che giocatori monitorare e quali smettere di seguire. Non tutti lavorano a Roma, siamo impegnati adesso a costruire uno scout network che servirà a monitorare giocatori giovani da una squadra di circa 20-25 persone, che lavoreranno sotto la guida di uno di quelli che stanno a Roma.
Quanto è diversa la Roma dal Siviglia in quello che fai ogni giorno?
“Ci sono diverse differenze. Innanzitutto, a Roma c’è un’attenzione maggiore dei media. Si lavora in maniera diversa, ma a livello di pressione e importanza di raggiungere gli obiettivi le squadre sono simili”.
Obiettivi alla Roma?
“Costruire un modello economico sostenibile e stabile, a livello sportivo portare la Roma al massimo livello”.
Qual è l’importanza del settore giovanile nei suoi piani?
“Il lavoro sulle accademy è l’essenza di un club se vuoi costruire un progetto a lungo termine, quando hai la possibilità di contare su giovani che crescono nel tuo club. Rende il progetto ancora più sostenibile. Loro credono nel club e si identificano nel club. È essenziale per la Roma puntare sui settori giovanili.
Per quanto tempo pensa che la Roma dovrà vendere i giocatori?
“Si lavora per trovare prima di tutto una sostenibilità economica, che ci permetta di decidere chi vendere e chi comprare. Siamo sulla buona strada, ma non significa che non venderemo nel futuro, vendere non è un male, ma una cosa normale se poi investi in strutture, allenatori e giocatori che ti fanno crescere. Il Barcellona ha venduto Neymar, il Real Madrid ha venduto Ronaldo, la Juventus ha venduto Pogba o Higuain. Le società devono essere capaci di reinvestire i soldi".
Quanto la costruzione del nuovo stadio della Roma influenza il tuo lavoro?
“Molto, sarà un’importante fonte di ricavi e farà crescere il brand della squadra, dando al club la possibilità di investire più soldi per raggiungere i massimi livelli del mercato internazionale”.
Malcom pensa che avrebbe potuto fare di più?
“Dovevamo abbattere il satellite che ha messo in comunicazione Barcellona e Bordeaux (ride, ndr). Non potevamo fare di più, il giocatore era pronto per arrivare a Roma, era tutto organizzato anche per fargli raggiungere la squadra negli States. Anche le visite mediche erano pronte”.
Sarà più motivato quando il tuo club sfiderà il Barcellona?
“Dopo 20 anni nel giro ho imparato che a volte si vince e a volte si perde. Molto meglio avere amici che nemici”.