Eriksson: "Dopo Roma-Lecce volevo lasciare l'Italia per dimenticare quell'enorme delusione. Giallorossi superiori alla Sampdoria, dovrebbero vincere"
Tre stagioni alla guida della Roma, dal 1984 al 1987, cinque con la Sampdoria, Sven-Göran Eriksson ha rilasciato alcune dichiarazioni al Match Program.
Dove ha passato questo difficile periodo?
“In Svezia. Io ho la fortuna di vivere in una casa isolata, quindi non me ne sono quasi accorto, vivo sempre un po’ in quarantena. Normalmente viaggio parecchio e mi è mancato molto non muovermi. Inoltre lo stop del calcio è stato molto negativo, ma abbiamo vissuto un periodo difficilissimo dove il primo pensiero per tutti è stato rimanere in salute”.
Un po’ alla volta stanno ripartendo tutti i campionati, che calcio vediamo?
“In Svezia il campionato è ripartito qualche settimana fa, ma è molto strano. Gli stadi vuoti non sono mai belli, la mancanza del pubblico si sente molto. Si vede che i giocatori non giocano da molto tempo, commettono tanti errori. Ma il calcio doveva assolutamente ripartire, è un aspetto importante per il ritorno alla vita normale. Credo sia giusto cercare in tutti i modi di portare a termine tutti i campionati”.
Lo scorso week end è ripartito anche il campionato italiano, la Roma gioca la prima in casa contro la Samp?
“In casa la Roma dovrebbe vincere, è di livello superiore rispetto ai doriani”.
La Samp ha già giocato la prima a Milano contro l’Inter nel recupero della venticinquesima giornata, invece per la Roma sarà la prima gara ufficiale, che peso potrebbe avere sulla sfida?
“Potrebbe essere un bene come un male. La Sampdoria ha già rotto il ghiaccio dopo un lungo periodo di inattività, ma avrà anche nelle gambe la stanchezza di aver giocato tre giorni prima”.
Fino al 3 agosto, data della chiusura del campionato, il programma è fitto di appuntamenti, si gioca ogni tre giorni… qual è l’aspetto più delicato da gestire per giocatori e staff?
“L’aspetto più importante è avere a disposizione un nutrito numero di giocatori. La grande paura di tutti i club saranno gli infortuni perché il tempo a disposizione per recuperare è pochissimo”.
Cosa sarà del campionato italiano?
“Credo che ancora di più sarà evidente la differenza tra le grandi società e le piccole. I club più potenti economicamente hanno una rosa più ampia delle piccole e farà la differenza. Inoltre con impegni così ravvicinati, le squadre abituate a giocare tanto tra coppe e campionato avranno la mentalità più aperta per tenere lo stress sotto controllo. La Juventus, ad esempio, sia che abbia dieci punti di vantaggio o soltanto uno, sa gestire le situazioni, è abituata a vincere”.
A proposito di Juventus, quante volte si è sognato di rigiocare quel Roma-Lecce?
“Mamma mia! Il primo mese avevo solo voglia di lasciare l’Italia per provare a dimenticare la delusione enorme provata. Oggi che ho qualche anno in più sulle spalle so che partite così possono capitare, è il bello del calcio, soprattutto quando non capita a te. Comunque quando vengo in Italia la gente me lo chiede ancora… Sarebbe stato bello vincere lo scudetto, in rimonta sulla Juventus poi”.
Della sua esperienza giallorossa ha qualche rimpianto, se potesse tornare indietro farebbe qualcosa di diverso?
“Ero molto rigido e avevo poca esperienza del calcio italiano. Qualche anno dopo lo avrei vissuto in maniera diversa”.
Che anni sono stati poi a Genova?
“Sono stati cinque anni belli. Non era una squadra che potesse competere per lo scudetto, avevano venduto Vialli, ma era un bel gruppo. Una società a gestione familiare con Mantovani al timone, un po’ come avevo trovato a Roma con il presidente Viola. Era un altro calcio che oggi non esiste più”.
Qualche giorno fa Roberto Mancini, CT della nazionale italiana, nella Top 5 dei suoi allenatori ha messo lei al primo posto.
“Ringrazio Roberto di cuore della manifestazione di stima nei miei confronti. Abbiamo lavorato insieme quasi 9 anni e siamo diventati amici. Le sue doti di grande allenatore erano evidentissime sin dai primi anni. Quando andai ad allenare la Samp il presidente Mantovani mi raccontò che erano stati Vialli e Mancini a chiedergli di prendermi, il presidente non sapeva neppure chi fossi”.
Da allenatore ha fatto moltissime esperienze in giro per il mondo, oltre all’Italia, prima in Portogallo, poi Inghilterra fino a Costa d’Avorio, Tailandia, Cina e Filippine; realtà molto diverse. Quale le ha lasciato di più?
“Le Filippine lasciamole stare, sono state un flop, non hanno davvero idea di cosa sia il calcio professionistico. Tutte le altre in qualche modo mi hanno arricchito lasciandomi qualcosa, certo guidare la nazionale inglese è quanto di più prestigioso possa accadere ad un allenatore”.
Prima di salutarla, c’è un giocatore che le sarebbe piaciuto allenare?
“Quando io ero in Italia giocava un certo Maradona. Il calciatore che ogni allenatore vorrebbe nel proprio team. Comunque ho avuto la fortuna di allenare davvero tanti campioni, non mi posso proprio lamentare”.