Dzeko: "Ho 34 anni, ma corro come uno di 22. Se vendi un giocatore all'anno perdi continuità, ma la Roma sta crescendo"
Edin Džeko ha rilasciato una lunga intervista a The Athletic, in cui ha ripercorso varie fasi della sua avventura con la Roma ricordando alcuni tra i suoi gol più importanti.
“Non dormo mai dopo le partite. Troppi pensieri, troppi pensieri su tutto. Anche dopo una grande vittoria. Dopo ogni partita, puoi fare analisi, che sia una vittoria o che sia una sconfitta. Magari c’è stata qualche occasione in cui avrei dovuto segnare e non l’ho fatto e penso a come avrei potuto fare. O a qualche passaggio importante che non ho fatto. O alla partita in generale. Ci penso sempre molto”.
Sul giocare con Nainggolan e Salah.
“È stato facile giocare con Radja e con Momo a destra. Loro hanno le qualità di dare i passaggi giusti, di aprire gli spazi per me e per loro stessi. Per esempio, Salah era molto veloce ma anche bravo a prendersi il pallone. Qualche volta, se io avevo il pallone, lui correva già dietro ai difensori, e io dovevo solo darglielo. Avevamo un ottimo rapporto, davvero ottimo. Ci capivamo l’un l’altro sul campo. Anche con Radja era così, lui giocava da numero 10 in quella stagione. È uno che capisce il calcio”.
Sul gol contro il Viktoria Plzen nel 2016.
“Spalletti ci diceva sempre che la palla si passa dove uno va, non dove uno è. Che è ovvio, perché se stai correndo e ti ridò il pallone, devi fermarti, prendere il pallone e andare. Perdi velocità. Guarda! Guarda quando alzo la testa. Sto cercando di vedere se posso passare il pallone a qualcuno, si vede. So dov’è la porta, sicuramente (ride, ndr). No, stavo guardando dentro l’area per vedere se potevo dare il pallone a qualcuno, ma vedevo tutti marcati. C’erano troppi giocatori, allora mi sono detto di provarci”.
Sul gol contro il Milan nel 2017.
“Succede quando ti capisci con i tuoi compagni. So che Momo è veloce, mi dà il pallone. Giochiamo un uno-due e lui sa che mi piace fermarmi e non andare in profondità. Inoltre, capisco come mi può dare meglio il pallone. Lo può fare meglio col sinistro e nello spazio con il destro. Il difensore (Paletta, ndr), è già 5 metri dentro l’area di rigore, quindi se vado lì non so se posso prendere il pallone. Quindi, mi sono fermato”.
Sull’intesa con i compagni.
“L’allenamento è tutto. Capirsi con Momo e Radja non è una cosa che nasce dal primo giorno. Parlavamo molto prima delle partite, dopo le partita, sui movimenti, su come mi piace giocare, su come a loro piace giocare. L’allenamento è tutto. È un processo. Prima di capisci con i tuoi compagni, meglio è per la squadra”.
Sul suo stile di gioco.
“Normalmente, si dice che un numero 9 aspetti il pallone in mezzo all’area. Io non sono il tipo che aspetta un cross o qualcosa del genere. Mi piace muovermi, avere il pallone. Devo toccarlo molte volte, altrimenti mi perdo. Devo essere sempre lì. Non mi piace passare il pallone e basta, specialmente nell’ultimo terzo di campo. Quando vedo un compagno, penso a dove si trovi il difensore e che pallone gli posso dare, se meglio nello spazio o sui piedi. Penso sempre due secondi prima a ciò che può accadere. Perché dare il pallone e basta è facile”.
Sul piede debole.
“Non mi piace chiamare debole nessuno dei miei piedi. Ci ho lavorato. È difficile nascere calcisticamente ambidestri. Quando ho iniziato ad allenarmi da giovane, ricordo che dopo le sessioni facevamo esercitazioni sui tiri in porta. Adoro calciare col sinistro e tutti mi chiedevano perché lo facessi, io rispondevo che sapevo calciare col destro e che volevo imparare col sinistro”.
Sul gol contro il Torino nel 2018.
“In realtà, non riuscivo a vedere il pallone dopo il salto di Ola Aina. Nell’intervista dopo la partita, mi chiesero se avessi pensato a stoppare il pallone. Risposi che non l’avevo fatto nemmeno per un secondo. Per prima cosa, pensavo ai giocatori del Torino. Speravo che Aina non fosse in grado di prendere il pallone perché era difficile. Volevo metterla sul secondo palo, fu la prima cosa a venirmi in mente. E uscì bene”.
Sul gol contro il Chelsea nel 2017.
“Fu importante il piazzamento. L’interno del piede. Ho segnato tanti bei gol, ma questo… questo è di un livello diverso rispetto a tutti gli altri. La distanza, la tecnica, la forza, tutto. Quando rivedo i miei gol mi piace vedere il risultato e la competizione in cui li segno. Qui era Champions League, la miglior competizione per club al mondo. E stavamo perdendo 2-1. Segnammo il 2-2 con questo gol. Gol che non segni tutti i giorni. Io inizio il movimento da qui (indica una posizione tra le linee, ndr). Questo gol, dipende anche dai tuoi compagni, da quanto è loro sensibile la percezione che hanno del gioco. E Federico (Fazio, ndr), fu molto intelligente nel capire dove volessi il pallone. Lo guardai fino all’ultimissimo secondo e arrivò. Il difensore stava arrivando e là, semplicemente, la presi bene. A Stamford Bridge non avevo mai segnato”.
Sul settore ospiti.
“I tifosi! Quel lato era pieno di tifosi della Roma. Sapete come sono gli italiani. Loro mostrano le loro emozioni, la loro passione. E io lì ero come loro, ero pazzo. Lo giuro. Un turbinio di emozioni in una sola partita, in un solo gol”.
Sulla partita contro il Barcellona.
“I miei amici mi chiesero biglietti prima dell’andata. Dopo il 4-1, tutti pensavano fosse finita. Quelli che avevano i biglietti sarebbero venuti all’Olimpico, anche se probabilmente alcuni di loro non volevano più farlo”.
Sulla semifinale contro il Liverpool.
“Abbiamo regalato loro la prima partita, concedere 5 gol fu amaro per noi. Forse è stato per la pressione, non lo so. Iniziammo molto bene, Aleks (Kolarov, ndr), prese la traversa. Ma dopo il primo gol cambiò qualcosa, sembrammo quasi non pensare al ritorno, al fatto che avevamo due partite. E poi, dopo aver perso 5-2… i nostri tifosi ci sostennero comunque in quel modo. Forse ci diede ancora più forza per provare a fare meglio. Un gol fa la differenza. Ricordo il secondo tempo del ritorno, non passarono mai la metà campo. Li pressammo e giocammo molto bene. Mi rimarrà come un qualcosa che avremmo potuto fare meglio”.
Sulla squadra del 2015.
“Tanti buoni giocatori. Se ogni anno vendi un calciatore, perdi continuità. I giocatori nuovi hanno sempre bisogno di tempo per abituarsi al campionato e al club. Ma devo dire che la Roma è cresciuta molto negli utlimi 4 anni e ogni anno diventa più grande”.
Sulla fascia di capitano.
“Tutto cambia, è la vita. Non ho rubato niente a nessuno, è una cosa naturale. Sono l’unico calciatore rimasto rispetto a 5 anni fa. È un privilegio per me arrivare dopo Totti e De Rossi, che sono le più grandi leggende non solo della Roma ma anche in Italia. È una responsabilità ancora maggiore. Avevo 30 anni quando sono arrivato, l’anno prossimo ne avrò 34. Mi sento pronto”.
Sulle critiche.
“È il calcio, bisogna abituarcisi. Capisco che a volte tu segni un gol e tutti ti amano. Poi non segni per 3-4 partite e quasi tutti ti odiano. Direi che è naturale. Forse è difficile per alcuni giocatori, specialmente i più giovani. Per loro la pressione è maggiore. Per esempio, sono sicuro al 100% che non è la stessa cosa fischiare me o fischiare giocatori più giovani come Kluivert. È molto più difficile per loro. Li chiamo i miei bimbi, perché, sono 14 anni più vecchio di loro”.
Sulla sua forma.
“I giocatori mi dicono che ho 34 anni ma corro come uno di 22”.
Sui trofei.
“È un peccato per un club come la Roma non aver vinto nulla in questi anni. Spero che questo possa cambiare, perché questo club merita di vincere trofei. Qui c’è tutto quello che puoi desiderare. Dobbiamo fare questo ultimo passo: vincere trofei. Ogni trofeo ti dà più fiducia nel fatto di poter raggiungere traguardi più alti”.