Perotti: "Vi racconto l'aneddoto con Totti. La vicenda De Rossi andava gestita diversamente. Pellegrini? Sapevo sarebbe diventato un giocatore di livello. Iturbe ci teneva alla squadra e ai tifosi"

23.01.2025 15:42 di  Redazione Vocegiallorossa   vedi letture
Perotti: "Vi racconto l'aneddoto con Totti. La vicenda De Rossi andava gestita diversamente. Pellegrini? Sapevo sarebbe diventato un giocatore di livello. Iturbe ci teneva alla squadra e ai tifosi"
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

L'ex calciatore Diego Perotti, alla Roma dal 2016 al 2020, ha rilasciato un'intervista a chiamarsibomber.com.

Prima di andare alla Roma, si vociferava che fossi stato vicino a Inter e Milan. È vero?
«Posso confermarti che mi chiamò Roberto Mancini che, all'epoca, era l'allenatore dell'Inter e mi disse che mi voleva come seconda punta, che ero ideale per il suo modulo. Io gli risposi che ero interessato ma alla fine presero Eder. Quindi sono rimasto altri 6 mesi al Genoa finché non è arrivata la Roma».

Come mai hai lasciato Genova a metà stagione?
«Io stavo bene al Genoa ma quando ti arriva la possibilità di fare il salto in una grande squadra non puoi rifiutare. Già nei primi anni al Siviglia, ero stato accostato alla Juventus e al Real Madrid, poi gli infortuni avevano fatto sfumare tutto. Resterò sempre grato al Genoa che ha creduto in me in un periodo negativo della mia carriera. Comunque il club ha preso 10 volte quello che aveva speso e io sono andato via l'ultimo giorno di mercato, nonostante la trattativa fosse in piedi da un mese. Gasperini mi chiamò in ufficio per chiedermi se volevo continuare a giocare rischiandomela, perché mi sarei potuto infortunare e far saltare la trattativa. Io gli diedi la mia disponibilità totale, ho dato tutto al Genoa fino all'ultimo giorno. Ho sempre portato rispetto al mister, alla società e ai tifosi. Capisco che i tifosi ci siano rimasti male, ma io ho sempre dimostrato di tenerci tanto al Genoa che rimane nel mio cuore».

Tu sei stato convocato in Nazionale da Maradona. Com'era Diego?
«Aveva un'aura, un qualcosa di diverso dagli altri. Io ho giocato solo un'amichevole con lui, facendo un paio di allenamenti ma è stato bravissimo con me, mi ha fatto i complimenti per l'esordio e mi ha detto di continuare a lavorare. Mentre ci allenavamo sapevamo che ci stava osservando il più grande di tutti, è difficile da spiegare a parole, è qualcosa che sentivamo dentro. E poi facendomi esordire in Nazionale mi ha regalato una delle gioie più grandi della mia vita».

Nei tuoi anni a Roma sei stato allenato da due grandi come Spalletti e Ranieri. Come ti sei trovato con loro?
«Sono molto diversi caratterialmente: Spalletti è paragonabile a Gasperini come cattiveria agonistica. Ti spinge sempre a dare il massimo, a stare sul pezzo, a non mollare, ad allenarti forte perché se no non ti fa giocare. È uno che si incazza spesso al contrario di Ranieri, che è più tranquillo, trova sempre la parola giusta ed è molto vicino al giocatore. Sono diversi anche tatticamente: Spalletti fa un gioco più offensivo, mentre Ranieri gioca di ripartenze. Mi sono trovato bene con entrambi e ho un bellissimo ricordo.
Ho un aneddoto curioso su Spalletti: faceva molto caldo, dovevamo giocare contro il Cagliari in trasferta ma io il giorno prima non mi ero allenato perché avevo le vesciche sotto al piede. Avevo fatto le infiltrazioni ma sentivo ancora dolore. Il giorno della partita, dopo colazione, il mister chiama me e il medico sociale al suo tavolo, fa partire una canzone al cellulare e non dice niente. Quando finisce la musica mi chiede "allora giochi o no?" e io gli rispondo di sì, quindi lui si alza e va via. Quella partita contro il Cagliari dovetti giocarla con lo scarpino di Dzeko per quanto il piede fosse gonfio, ma segnai su rigore dopo 5'. Era uno molto pratico, però aveva questi modi che facevano sorridere. È particolare ma è un grandissimo allenatore. Mentre Ranieri era come un papà, dava tranquillità allo spogliatoio. Mi ricordo che all'ultima giornata contro il Parma disse "mi voglio divertire" e mise una squadra molto offensiva con me, Dzeko, Pellegrini, El Shaarawy... praticamente non difendeva nessuno».

Com’è giocare con Totti? 
«Io ho giocato 3-4 partite anche con Messi, ma è diverso vivere un campione nella quotidianità. Da un lato è stato bellissimo, dall'altro sapevo che non avrei mai raggiunto il suo livello. Ho conosciuto Francesco nell'ultima parte della sua carriera ma era comunque un giocatore decisivo. Aveva qualcosa di diverso, che tu non raggiungerai mai. Anche allenandoti al massimo delle tue forze, sai che il suo piede non ce l'avrai mai. Vederlo calciare in porta era fantastico: tirava 10 volte e 10 volte la metteva all'incrocio.
Aveva una visione di gioco pazzesca, di spalle vedeva l'attaccante in area e tu non capivi come facesse. Il talento o ce l'hai o non ce l'hai, non si può allenare. Vi racconto questa: io venivo dal Siviglia dove ero il rigorista mentre a Roma non ne avevo ancora calciato uno. Giocavamo contro il Torino, mi procuro il rigore, lui tira e segna. Poi nello spogliatoio mi avvicino e gli dico "guarda che è l'ultima volta che ti faccio calciare il rigore", lui mi butta un'occhiataccia, ma io gli dico subito che stavo scherzando. Era un leader che si faceva sentire col pallone tra i piedi. Sapevi che poteva cambiare la partita da un momento all'altro».

Tu hai vissuto da dentro le vicissitudini tra Totti e Spalletti che hanno poi portato al suo ritiro dal calcio. Pensi che potesse essere gestito diversamente?
«Sì, poteva essere gestito in maniera diversa. Io ero arrivato da poco a Roma, ma per quello che rappresentava Francesco, poteva esserci un epilogo diverso. Però capisco pure che non è facile per un allenatore gestire una bandiera come lui».

Per qualche mese hai condiviso lo spogliatoio con Iturbe che viene ancora ricordato come uno dei più grandi flop giallorossi. Cosa gli è successo secondo te?
«Ne abbiamo parlato a lungo con lui e con gli altri compagni: aveva tutte le qualità per fare bene perché era molto veloce e calciava bene con entrambi i piedi. La gente non lo sa, ma lui si allenava sempre al massimo, ci teneva alla squadra e ai tifosi perché sapeva che il club aveva speso tanti soldi per acquistarlo. Roma è una piazza particolare, dove devi giocare bene fin da subito e dimostrare di meritarti quella maglia. Devi stare sul pezzo sempre. Il nervosismo, la mancanza di fiducia, la sfortuna possono condizionarti la stagione. È un gran peccato perché aveva tutte le qualità per fare bene e lasciare un buon ricordo ai tifosi».

La Roma del 2017-18 viene ricordata come una delle più forti di sempre. Tu non eri in campo nell’epico quarto di finale di ritorno contro il Barcellona, ma cos’è successo quella sera nello spogliatoio? Cosa è scattato nella testa dei giocatori?
«Non avevamo più nulla da perdere e abbiamo giocato con la mente libera. Se avessimo perso a Barcellona 1 a 0, sarebbe stato diverso. Giocare senza pensieri ha fatto la differenza quella sera. Se pensavamo di poterla vincere quella Champions? Nì, perché c'erano grandi squadre come Liverpool e Real Madrid». 

Chi era il più forte in quella Roma? 
«Tanti diranno Salah o Dzeko, ma io dico Radja Nainggolan. Era un tuttofare, sapeva fare tutti i ruoli. Giocatore devastante che avrebbe potuto giocare 20 anni in una big se avesse condotto un altro stile di vita. Questa però è una mia idea, magari se fosse stato diverso, avrebbe fatto una carriera peggiore. Chi può dirlo?»

Tu hai conosciuto un giovanissimo Lorenzo Pellegrini. Com’era e se ti aspettavi sarebbe diventato il capitano della Roma.
«Sì lo immaginavo, le qualità tecniche già si vedevano, sapevo sarebbe diventato un giocatore di altissimo livello. Sono contento del gol nel derby dopo il periodo che ha vissuto. Al di là del bellissimo gol, ha fatto una grande prestazione, di mentalità e personalità. Sono contento per lui perché è un bravissimo ragazzo e un grande giocatore».

Che ne pensi del fatto che la Roma abbia esonerato De Rossi dopo solo 4 partite?
«Andava gestito in un altro modo perché non parliamo di un allenatore qualunque, ma di una bandiera che ha fatto un'intera carriera alla Roma. Inoltre stava facendo bene come allenatore, non era semplice sostituire Mourinho».

Tu hai segnato due volte nel derby di Roma. Che emozione si prova?
«Il primo gol l'ho vissuto un po' meno perché lo stadio non era molto pieno: la partita era alle 15.00 e la Lazio giocava in casa. Il secondo derby era di sera e lo stadio era pieno. Segnai su rigore calciandolo camminando perché mi stavo ca*** sotto (ride, ndr). Il derby della Capitale è bellissimo, ti cambia una stagione e sono convinto che ora la Roma farà benissimo. Per me è stato un onore giocarlo e segnare».

Prima di appendere gli scarpini al chiodo ti ha chiamato Walter Sabatini alla Salernitana. Che rapporto hai con lui? 
«Walter è un grande. Come Gasperini, anche lui mi ha dato tanto. Fu lui a volermi a Salerno. Mi è sempre stato vicino, non solo alla Roma. Per me è stato come un padre. Rimane un uomo di calcio che non va dietro gli algoritmi e riesce a leggere le qualità anche del calciatore sconosciuto. È stato fondamentale per la mia carriera e il gesto di riportarmi in Serie A con la maglia della Salernitana non lo dimenticherò mai».

Progetti futuri?
«Bella domanda... sto lavorando con Diego Tavano, procuratore di Edoardo Bove, e poi mi piacciono molto gli investimenti immobiliari».